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Un lavoro che dà soddisfazioni (dominazione su donna)


di Evoman
15.05.2014    |    11.577    |    3 9.7
"Gianna faceva veramente fatica a non lasciarsi andare..."
Gianna era una fotografa. Bella, giovane, aveva tentato senza successo prima la carriera da giornalista e poi, molto più con i piedi per terra, quella da realizzatrice di book nei matrimoni. Ma anche in quest’ultimo campo gli affari non andavano benissimo.
Ora finalmente sembrava aver trovato una strada tutto sommato semplice e remunerativa: si era messa a fare l’investigatrice privata. Seguiva coniugi infedeli, si appostava, li fotografava e intascava il lauto contributo di mariti e mogli cornuti come cervi.
L’ultimo incarico veniva da una signora molto altolocata. Suo marito, imprenditore nel campo edile, a suo dire se la faceva con la segretaria. Niente di più classico e di più scontato. Gianna si sentiva già i soldi in tasca. Per il suo lavoro Gianna trovava molto comodo guidare un potente scooter ed era con quello che stava seguendo un po’ da lontano il SUV del fedifrago consorte, che aveva a fianco la segretaria. Era domenica, nessuno lavorava e perché mai, quindi, lui sarebbe dovuto andare in giro con la segretaria, se non per una tresca amorosa?
Ormai erano fuori città, quando lui accostò davanti al cancello di un cantiere. Entrò e chiuse dietro di sé, avviandosi verso una palazzina in costruzione. Per fortuna, bastarono pochi minuti per capire che, qualche centinaio di metri più avanti, la rete che chiudeva il terreno era malmessa e Gianna non ebbe alcun problema a trovare un pertugio in cui infilarsi, con la sua fida fotocamera appresso. Era un congegno elettronico molto potente, affidabile e versatile, ma soprattutto era silenziosissima. Aveva un obbiettivo capace di spaziare dal grandangolo al tele e poteva fare sia foto, che filmati, il tutto con una memoria praticamente inesauribile. Silenziosamente Gianna cominciò a salire le scale, perché sentiva che i due amanti erano al piano superiore. La scena che però le si parò davanti era decisamente inaspettata. La segretaria mezza nuda era in ginocchio davanti all’imprenditore, che la insultava e la minacciava con un frustino.
“Lurida troia, tu fai quello che dico io e basta” urlava lui.
Lei non mostrava alcun moto di ribellione, era lì a capo chino a subire quelle angherie senza muoversi, né dire niente. Gianna, trovato un posto ideale per poter riprendere e fotografare senza essere vista, continuò ad assistere alla scena.
In breve, dopo una serie di altri insulti, l’imprenditore si sedette su una sedia lì vicino, fece sdraiare la ragazza a pancia in giù sulle sue ginocchia e iniziò a sculacciarla sul sedere, dopo averle tirato su la gonna. La ragazza si lamentava e urlava, ma lui non accennava a diminuire l’intensità degli schiaffi. Poi, ogni tanto, strusciava le dita lungo il solco della fica, fino all’ano, spingendo un po’ con brevi impulsi. In quei frangenti i mugolii della segretaria salivano di intensità e le sue gambe, prima chiuse come per proteggersi, si aprivano da sole, quasi a facilitare le carezza subite. Ma, poi, lui riprendeva sadicamente a sculacciarla.
Gianna intanto alternava scatti fotografici a riprese video ed era stupita e meravigliata della scena che le si parava dinnanzi.
“Troia, ti stai eccitando vero?” le disse lui dopo averle passato per l’ennesima volta le dita nella fica ed averla trovata tutta bagnata. “Adesso vediamo se ti piace anche quello che ti farò” la minacciò. Poi l’uomo prese quasi di peso la segretaria, la buttò su un tavolaccio lì accanto e la legò ben bene a pancia all’aria. Gambe larghe, mani dietro la testa e il corpo della segretaria era lì a sua disposizione.
Gianna era sconcertata da tutto ciò. Si sarebbe aspettata una calda scena d’amore, come decine di altre volte aveva visto, ma sempre di più i fatti erano decisamente inconsueti e inimmaginabili anche per lei. L’imprenditore si sfilò la cinta dei pantaloni e con quella iniziò a colpire la ragazza soprattutto sulle tette e sulla fica. Lei si lamentava ad ogni colpo, ma Gianna non era più tanto sicura se i gemiti erano di dolore o di piacere. Dal viso e dall’espressione di lei, infatti, sembrava trasparire in modo evidente un desiderio perverso che tutto ciò accadesse.
Certo i colpi facevano male, ma evidentemente l’eccitazione per la sottomissione subita portava la ragazza a volerne quasi di più. E, questo, ancora una volta lasciò di stucco Gianna. Lui, poi, smise di colpirla e iniziò a carezzarla. Ora era chiaro che i gemiti di lei erano per il piacere che le montava dentro. Ma lui, ogni volta che lei accelerava con il respiro facendo capire che si stava avvicinando all’orgasmo, smetteva con le carezze e riprendeva a colpirla, ora con la cinta, ora con la mano schiaffeggiandole la fica. Inequivocabilmente, poi, i capezzoli della ragazza erano dritti e duri e la sua fica era bagnata. Fu immediatamente dopo aver ricevuto uno schiaffo proprio in mezzo alle cosce che la segretaria venne urlando e contorcendosi.
In quel momento Gianna stava filmando ed ebbe modo di passare da inquadrature larghe, a primi piani del volto della ragazza stravolto dal piacere. Un attimo dopo l’imprenditore aveva l’uccello di fuori e, senza slegare la ragazza, si fece fare un pompino con i fiocchi. Quando anche lui venne, lei ingoiò tutto senza neanche farne cadere fuori una goccia. Con la lingua pulì per bene la cappella dell’uccello di lui, che ormai stava pian piano perdendo l’erezione, fino a che lui le si staccò da vicino, se lo rimise dentro, la slegò e la portò fuori. Misero in moto e andarono via. Gianna li lasciò andare, vista l’ora lui probabilmente avrebbe accompagnato lei da qualche parte e poi sarebbe tornato a casa a recitare la scena del bravo marito. Le immagini compromettenti, tanto, le aveva tutte.
La sera a casa Gianna visionò al computer tutte le immagini e i filmati e tornò a rivivere le scene a cui aveva assistito. Era da quando aveva lasciato il cantiere che non riusciva a togliersi dalla mente tutto quello che aveva visto. Lì per lì non ci aveva fatto caso, ma in realtà quella scena l’aveva turbata non poco e forse anche eccitata. Ma Gianna non voleva ammettere a sé stesa l’eccitazione, si creava bugie in testa e negava anche l’evidenza.
Non stava visionando e rivedendo più e più volte le immagini per controllare la qualità del lavoro, stava proprio guardando il tutto come se si trattasse di un film porno. Solo che era tutto vero e la scena era accaduta a poche decine di metri da lei.
Soprattutto si soffermava sui primi piani del viso della segretaria. Invece di provare schifo e dolore, si vedeva che la sua espressione era quella di chi desidera una cosa anche se ne ha paura, di chi si vergogna ma non aspetta altro. Insomma Gianna leggeva in lei libidine, perversione e passione, le espressioni erano quelle di una porca che chiede di più. Il tutto misto a smorfie di dolore, ma che successivamente portavano a vette di piacere più alte. Inoltre la fica di lei era veramente molto bagnata.
Anche questo Gianna aveva ripreso, anche senza volerlo ammettere con sé stessa, più con spirito da guardona, che non per dovere professionale.
Ormai, comunque, quelle immagini erano diventate per Gianna una specie di ossessione, le vedeva e rivedeva a casa nei momenti liberi e alla fine aveva ceduto: si era messa a pensare alla stessa situazione ma con lei come protagonista, si era masturbata e dall’eccitazione l’orgasmo che aveva raggiunto era stato violentissimo, uno dei più forti della sua vita.
Cosa le stava succedendo? Non le era mai capitato prima di immedesimarsi in una situazione del genere, cioè vedendo coppie di amanti che facevano sesso. Era lavoro e tale rimaneva. Ma questa volta l’erotismo e la perversione che trasudava da quelle scene aveva fatto breccia sul suo immaginario erotico, al punto da aver pensato di essere lei al posto di quella ragazza. Non era lui ad attirarla, ma solo quello che lui faceva, il modo in cui lo faceva, il modo in cui rispondeva il corpo della segretaria a quelle che lei fino a prima di averle viste le avrebbe immaginate come pura violenza.
Anche nei giorni successivi, continuando gli appostamenti dietro all’imprenditore, Gianna sperava succedesse qualcosa, ma invece niente.
Poi la domenica successiva ecco di nuovo l’imprenditore e la segretaria partire di nuovo con il SUV verso fuori città e Gianna a seguirli da lontano con il suo scooter.
Tutto andò come la settimana precedente e ancora la casa in costruzione era la loro meta. Di nuovo li trovò al piano superiore, con lei già legata in piedi ad una colonna, mezza nuda e con una sedia in mezzo alle gambe per tenergliele aperte e per farla stare con il bacino in avanti, a causa dello spesso schienale che le impediva di aderire con il corpo al pilastro.
Di nuovo in mano a lui c’era un frustino, con il quale accarezzava quasi con dolcezza la pelle della segretaria. “Te l’avevo detto di non sbagliare quei conti, ma tu stai sempre a pensare ad altro e ora mi tocca fare di nuovo tutto il lavoro con il commercialista” disse lui. Lei non provava neanche a replicare e aveva gli occhi chiusi dal piacere che le carezze del frustino le cominciavano a dare. Da carezze delicate, però, in breve quelle che lui infliggeva divennero vere spinte potenti, sui capezzoli, sulla fica, in mezzo alla pancia. Spinte che le deformavano localmente la pelle e che le strappavano mugolii e lamenti fortissimi. Poi iniziò a colpirla sempre negli stessi punti più sensibili. La segretaria si lamentava ad ogni colpo e cercava di chiudere le gambe ogni volta che il frustino la centrava sul clitoride.
Ancora una volta, però, la sua espressione era di chi in realtà sta desiderando fortemente proprio quello che stava accadendo. Gli occhi languidi e i lamenti di piacere tradivano la sua eccitazione, anche se ogni tanto sotto i colpi più forti le scappava anche qualche urlo di dolore. I capezzoli erano dritti e duri e svettavano verso l’alto, tutti arrossati e gonfi. E ugualmente anche il clitoride ormai era talmente eretto e gonfio da sporgere praticamente dalle labbra della fica. Ma la cosa più sconcertante per Gianna erano gli umori che copiosi colavano lungo le cosce della segretaria.
Come poteva quella ragazza eccitarsi così sotto i colpi del frustino? Solo dopo un po’ Gianna si rese conto che anche lei si stava decisamente eccitando e che anche la sua fica era bagnata. Di nuovo quello spettacolo che avveniva a pochi passi da lei metteva in crisi le sue certezze e scatenava voglie represse o nascoste che Gianna non immaginava assolutamente di avere.
Poi, a causa di uno stupido movimento sbagliato, la fotocamera urtò contro un pilastro dietro cui si nascondeva e il rumore attirò l’attenzione dell’imprenditore. “Chi c’è lì” urlò.
Gianna terrorizzata si nascose dietro al pilastro, ma sentì distintamente i passi di lui avvicinarsi. Non sapeva che fare e, ancora prima di prendere una qualsiasi decisione si sentì afferrare per un braccio e portare in mezzo alla stanza.
“E tu chi sei?” le urlò l’uomo, “che ci fai qui, ci stavi spiando?”.
“No... no” provò timidamente a replicare Gianna.
“Dimmi chi sei se non vuoi che ti faccia male, molto male”.
”Non ti dirò proprio un bel niente” reagì quasi urlando Gianna.
“Adesso lo vediamo se non mi dici niente” e l’imprenditore spinse Gianna sullo stesso tavolaccio della settimana prima e, come avvenuto con la ragazza, la legò nella stessa posizione.
Dalla sua borsa prese delle forbici e con quelle si mise a tagliarle tutti i vestiti, lasciandola in beve tempo praticamente nuda.
“Sei anche una bella fica” le disse lui con scherno “sarà un vero piacere farmi raccontare tutto su chi sei”.
Il frustino che fino a un attimo prima stava tormentando la segretaria, questa volta cominciò a percorrere il corpo di Gianna. Anche in questo caso i primi tocchi lievi furono per lei tutt’altro che sgradevoli, ma mai e poi mai avrebbe voluto far capire che poteva anche lontanamente trovare la cosa piacevole. Ad un certo punto, però, il frustino si insinuò tra le labbra della sua fica, le aprì e cominciò a giocare con al sua carne più sensibile.
“Ma guarda questa cagna spiona – disse l’uomo – ti sei eccitata prima a spiarci, non è vero? Guarda qui, sei tutta bagnata”.
“Non è vero – replicò timidamente Gianna – mi lasci stare”.
“Adesso lo vediamo se non è vero” e le cominciò a infilare un dito nella fica, strappandole un mugolio di sorpresa e forse di piacere. Poi quel dito l’uomo lo mise praticamente in bocca di Gianna.
“Succhia i tuoi umori, troia, allora sei o non sei eccitata?”.
In effetti quel dito grondava umori e Gianna dovette sottostare all’umiliazione di assaggiare il frutto della sua eccitazione.
“Allora, vediamo quanto sei coraggiosa ora” minacciò lui.
Gianna pensava che ora sarebbe stata frustata o colpita con la cintura, come aveva visto fare la settimana prima. Invece, dopo essersi brevemente allontanato, l’uomo tornò con un grosso fallo di gomma.
“Vediamo se sai mantenere un contegno anche con questo sbattuto dentro”. Ancora una volta l’uomo non fu violento e delicatamente infilò la punta di quel grosso uccello nella fica di Gianna. Solo che era enorme e faceva veramente fatica ad entrare. Gianna si sentiva squartare da quel coso e mai prima aveva provato la sensazione di essere così riempita.
Nonostante tutto, però, non riuscì a trattenere un sospiro e un gemito quando fu entrato fino praticamente a metà. A quel punto l’uomo smise di manovrarlo con le mani e cominciò a colpirlo con il frustino, come fosse un martello che cercava di piantare quel chiodo nella sua carne. Ad ogni colpo il fallo entrava forse di 1 millimetro, ma le sensazioni che trasmetteva era violentissime.
Gianna faceva veramente fatica a non lasciarsi andare. Solo la sua forza d’animo e la grandissima vergogna che provava le trattenevano il piacere che cresceva dentro di lei. Quello che però non riusciva ad evitare era il muovere il bacino ad ogni colpo subito verso avanti, quasi a voler invitare l’uomo a colpirla un’altra volta con maggiore violenza.
“Ti agiti come una biscia, troia – la redarguì lui – ti sta piacendo vedo” disse sghignazzando.
Era vero e Gianna si sentiva morire dall’imbarazzo.
Quando il fallo fu ormai interamente piantato dentro di lei, anche Gianna riusciva a vedere benissimo i suoi capezzoli gonfi e duri per l’eccitazione. Il clitoride non poteva vederlo, ma sentiva la fica bagnata e uno stato di eccitazione altissimo. Il colpo di frustino sulla fica la colse di sorpresa. Si era abituata a quel gioco sessuale che le faceva penetrare il fallo sempre più e ora questo repentino passaggio ad un trattamento decisamente più rude la lasciò senza fiato.
Un urlo strozzato le uscì dalla gola e un calore misto a dolore si irradiarono dalla sua fica a tutto il corpo. Il secondo colpo la fece urlare con quanto fiato aveva in gola, questa volta per il dolore, ma anche per la paura che la attanagliava.
Sapeva bene quali erano i trattamenti a cui l’uomo sottoponeva una donna e la cosa la terrorizzava. Ma un lato oscuro della sua mente, invece, era attratta e incuriosita da tutto ciò e quasi bramava di scoprire fino a che punto il suo fisico avrebbe accettato un simile trattamento.
Il terzo colpo la prese proprio sul clitoride, scatenandole una violenza di sensazioni mai provate prima. Certo dolore, ma anche eccitazione e piacere che incredibilmente stava sempre più prepotentemente prendendo il sopravvento.
Gianna era esterrefatta delle reazioni del suo corpo e del piacere perverso che quei colpi, e anche tutta quella situazione, le stavano procurando. Il quarto colpo arrivò su un capezzolo, strappandole un mugolio che si prolungò per molti secondi. Il capezzolo colpito divenne immediatamente più dritto e più gonfio dell’altro, mantenendo una sensibilità elevatissima. Infatti, ne continuava a sentire fortissima la presenza pulsante. Con le dita l’uomo le prese proprio quel capezzolo, lo strinse come in una morsa, lo tirò verso l’alto e lo torse. Gianna cercò di inarcare la schiena per seguire il suo movimento, ma più di tanto non ci riuscì.
Dalla sua bocca di nuovo si fece strada un potente mugolio che ben presto si tramutò in un urlo. Come era stato preso, il capezzolo venne improvvisamente lasciato e Gianna ricadde sul tavolaccio lamentandosi.
Di nuovo l’uomo passò le dita tra le labbra della sua fica e le raccolse gli umori che colavano copiosi e di nuovo le mise in bocca il frutto della sua eccitazione.
“Allora troia, come va? Direi bene, senti quanto sei eccitata. Dimmi la verità, ti piacerebbe godere vero? E invece finché non mi racconterai chi sei non ti permetterò di godere, stai tranquilla. Non sarà un pomeriggio di piacere per te questo. O almeno non lo sarà finché io vorrò”.
Gianna cercò di mentire sul perché era lì.
“La prego, mi lasci, sono una fotografa che cercava ispirazione in questo cantiere, ma poi siete arrivati voi e mi sono nascosta”.
“Ma chi ci crede a queste balle, raccontale a un’altro. Allora chi ti manda? Vedrai che riuscirò a farti parlare” minacciò l’uomo, mentre allontanatosi un attimo rovistava nella sua borsa.
Da questa tornò con delle mollette da bucato in mano e dei pezzi di spago. In un attimo Gianna si trovò due mollette sui capezzoli e due sulle labbra della fica. Con gli spaghi, poi, le mollette vennero legate ai lati del tavolo, mettendole in trazione lateralmente tanto i capezzoli che le parti esterne della sua fica, che così doveva essere tutta allargata ed esposta. Una quinta molletta, infine, venne applicata al suo clitoride e legata con lo spago al suo collo. Se non voleva mettere in trazione quest’ultima molletta Gianna doveva stare con la testa fortemente piegata in avanti, in una posizione faticosa e innaturale.
Non solo le mollette le procuravano un dolore sordo che si irradiava in tutto il corpo, ma appena si muoveva in un qualsiasi modo tutti i suoi punti più sensibili erano devastati dalla trazione che gli spaghi esercitavano. E quando lui iniziò a colpirla sulla pancia con il frustino, per lei non fu affatto facile riuscire a rimanere ferma. Ad ogni contrazione e sussulto del suo corpo corrispondeva una violenta tirata a un capezzolo, a un altro, alle labbra della fica, al clitoride, quando non a tutti insieme.
Lei stava entrando in una fase di delirio sensitivo. Queste sensazioni fisiche erano ai imiti del sopportabile, il dolore le trapanava il cervello, eppure nonostante tutto riusciva a mantenere inalterato il suo livello di eccitazione.
Anzi, incredibilmente questo cresceva sempre di più. Non era solo il dolore fisico a scatenaglielo, ma l’intera situazione. Lei torturata e nelle mani di un sadico godeva ad essere usata e il suo corpo si eccitava all’idea del dolore abbinato al predominio sessuale. La sua mente stava cedendo e con sempre minore energia Gianna cercava di resistere e di tenere nascosto quanto tutto ciò in fondo le stesse piacendo. Quando, ad un colpo di frustino più forte degli altri, a causa dei sussulti del suo corpo, la molletta piantata sul clitoride saltò, Gianna raggiunse finalmente l’orgasmo.
I violenti sussulti del suo fisico fecero così strappare via anche le altre mollette, generando un’ondata di piacere che in quel momento le sembrava infinita.
Erano come mille orgasmi tutti diversi che partivano dal punto di origine, i capezzoli, le labbra della fica e il clitoride, e che arrivavano al cervello moltiplicando tutti insieme il loro effetto generale.
L’uomo rimase decisamente stupito dell’orgasmo di Gianna: “Guarda questa troia come è riuscita a godere. Non l’avevo mai vista una capace di raggiungere l’orgasmo come te. Eppure di cagne in calore, stai tranquilla, che me ne sono passate per le mani. Con te mi sa che ci vorranno metodi ancora più drastici”. Gianna era fisicamente sfinita e con la testa in subbuglio. L’orgasmo aveva colto di sorpresa anche lei e ora rimuginava su quello che era successo e su come il suo fisico aveva reagito a quelle violenti sollecitazioni. Forse era una masochista e non se ne era mai accorta prima? Non lo sapeva. Ma quello che sapeva è che l’orgasmo provato era stato incredibile, nonostante tutto il suo corpo fosse contemporaneamente in preda a dolori lancinanti.
“Se facendoti quello che ti ho fatto sei riuscita a godere, vuol dire proprio che sei una ninfomane masochista” le disse sghignazzando l’uomo.
Gianna si vergognava moltissimo di tutta quella situazione e di come si era lasciata andare a quegli abusi sessuali. Ma era anche affascinata da come il suo corpo aveva reagito, in un modo per lei del tutto inaspettato.
“Ora, però, penso di aver trovato il modo per sfiancarti. Ti farò godere tante di quelle volte che sarai tu a chiedermi di smettere e a raccontarmi finalmente chi sei” le disse lui, che andò a prendere un altro attrezzo dalla sua borsa.
Si presentò con un nuovo cazzo di gomma, ma che questa volta aveva un tubo e una pompetta attaccati. “Vedi bella, questo te lo infilo tutto nel culo e poi lo gonfio fino a sentirti urlare” e intanto aveva iniziato a penetrarla.
Gli umori che erano colati dalla fica di Gianna, sempre occupata a sua volta dal grosso fallo di gomma precedentemente infilato, rendevano estremamente facile la penetrazione anche nell’altro buco.
Gianna non era abituata molto a prenderlo nel culo e questa nuova intrusione la spaventò moltissimo. Ma la sorpresa durò molto poco, in un attimo, infatti, il nuovo attrezzo fu tutto dentro. Gianna era tesissima e queste nuove sensazioni che si aggiungevano a quelle fortissime già provate le scatenarono una nuova ondata di eccitazione.
Forse lei era veramente una ninfomane come le aveva detto l’uomo e la cosa già di per sé la eccitava. Cominciava a provare piacere sia ad essere umiliata, sia nel constatare quanto veramente fosse troia. Poi lui cominciò a gonfiare l’oggetto piantato nella sua carne e per Gianna iniziò ad esistere solo la sensazione fortissima della suo ano che si dilatava e del suo intestino che veniva riempito. In breve la spinta interne divenne fortissima e Gianna non riuscì a non iniziare a lamentarsi e ad agitarsi.
Una nuova pompata e questa volta un urlo roco le uscì dalla gola. La sua fica era piena e ora anche il culo veniva dilatato a più non posso. Si sentiva riempita ai limiti della sopportazione, una nuova situazione mai provata prima che sorprendentemente si stava tramutando in nuova fonte di eccitazione.
L’uomo, poi, si allontanò da lei e andò a sciogliere la segretaria, che nel frattempo era rimasta legata alla colonna ad ammirare le torture che il suo capo/padrone faceva a quella ragazza.
“Ora succhiale per bene il clitoride, falla godere con la tua linguetta che tanto bene sa lavorare. Fallo per me” disse l’uomo alla sua segretaria ridacchiando.
Lei non se lo fece ripetere due volte e come un aspirapolvere si attaccò alla fica di Gianna. Lei agitava la lingua in modo rapido e guizzante, ora avvolgendole il clitoride, ora dandogli veri e propri colpi, ora succhiandolo come un cazzetto, aspirando fortissimo con le labbra. Gianna stava per raggiungere di nuovo il delirio dei sensi.
Maledizione, non aveva mai avuto rapporti lesbici prima e, anzi, fino a qualche ora prima avrebbe pensato che la cosa non faceva proprio parte del suo immaginario erotico. Ma ora non era più così sicura.
L’unica certezza era che la lingua di quella puttana la stava di nuovo portando rapidamente verso l’orgasmo, anche perché il clitoride irritato dalla molletta era ora sensibilissimo e trasmetteva moltiplicata per cento qualsiasi sensazione.
Poi la ragazza, mentre non smetteva un attimo di leccarla, prese a smuoverle i cazzi infilati dentro, a spingerli, a muoverli lateralmente, a dare loro botte con la mano. L’effetto combinato di tutte queste stimolazioni portò Gianna a un altro potente orgasmo.
Venne urlando il suo piacere e inarcandosi al massimo di quanto i legacci le permettevano. Ma la ragazza non smetteva un attimo, continuava a giocare con la sua carne più sensibile senza darle un solo secondo di tregua.
“Basta, ti prego, basta... non ne posso più” disse con la voce strozzata e storpiata dai lamenti che non riusciva a trattenere.
Ormai era finita in un vortice di lussuria per cui ad ogni minima stimolazione il suo corpo rispondeva in modo esagerato. Dopo neanche un minuto un uovo fortissimo orgasmo la colse ancora una volta impreparata. Sfinendola ancora di più.
Non aveva più la forza quasi neanche di parlare, solo una lamentazione continuata sottolineava come in ogni caso quelle forti sensazioni continuavano a raggiungere il suo cervello.
Per fortuna l’uomo finalmente fermò la ragazza, che tirò su la testa con un sorriso malizioso stampato sul viso. Era evidentemente soddisfatta dell’ottimo lavoro fatto e di aver contribuito ad umiliare quella donna per volere del suo padrone.
“Ora parlerai vero? Non vorrai mica che lei ricominci da capo”.
E Gianna cedette. Raccontò tutto. E alla fine pregò anche quell’uomo di accettarla come sua schiava.

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